"La Sindrome del Gemello Scomparso" di Ambra Guerrucci

"La Sindrome del Gemello Scomparso" di Ambra Guerrucci

Da tempo volevo scrivere qualcosa sul tema gemelli scomparsi in utero, ma essendo un argomento molto delicato ho preferito rimandare fino ad ora. Fino ad oggi non ho mai sentito l'esigenza di divulgare estratti del mio diario dell'osservazione, ma data l'eccezionalità dell'argomento, questa volta lo farò.

"Sin da piccola mi sono sentita praticamente perseguitata da strane forze, che non avevano modo di insinuarsi nel lavoro, ma inficiavano enormemente nelle mie relazioni amorose. La sensazione era che qualcuno non volesse la mia felicità in ambito amoroso. Era come essere seguita da una dispettosa ombra, che faceva di tutto per sabotarmi e creando addirittura fraintendimenti, così come coincidenze sincroniche atte a sabotarmi. Negli anni queste forze hanno assunto vari nomi, fino al momento in cui non ho avuto chiaro che si trattasse di qualcosa nella Mente Collettiva, ossia l'Inconscio Collettivo. Fino a quel momento, però, mi sembrava qualcosa di esterno ed era quindi proprio all'esterno che davo la responsabilità di queste situazioni, che vedevo come attacchi. Quel modo di concepire tutto ciò mi portava ad un empasse: se il problema era al di fuori di me, anche la soluzione avrebbe dovuto esserlo. In questi giorni, a seguito degli eventi (descritti nel diario precedentemente) ho iniziato a osservare questa paura che ho di attaccarmi al mio compagno, una paura che forse mi accompagna da sempre, in modo così sottile da non esser mai stata osservata. "Se mi apro completamente, appena l'altro se ne andrà, morirò dal dolore" queste parole traducono la sensazione che mai prima avevo sentito così chiaramente. Negli anni avevo creato la mia soluzione migliore: la fuga. Talvolta era una vissuta letteralmente, altre volte solo metaforicamente, comportando dinamiche che mi permettevano di mantenere una distanza interiore dagli altri, nella consapevolezza di poter fare a meno di loro. Era come se fossi prevenuta, sapevo già che prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciandomi sola con me stessa, così evitavo di aprirmi totalmente per non vivere il dolore. Infondo, non mi sentivo autorizzata ad amare, ma davo la colpa a quell'ombra che mi perseguitava e di cui temevo la punizione. Ma chi è realmente quest'ombra da cui fuggo? Di chi si tratta? In questi giorni è arrivata la risposta, una risposta che ha unito insieme tutti i tasselli e spiegato tutti i meccanismi. Grazie ad una persona di cui mi fido molto scopro di avere un gemello e lì ogni cosa assume un senso. Tutte le cose che ho lavorato per una vita erano tasselli di un unico puzzle, ma avendo trattato i sintomi come "nemici" mi ero preclusa la possibilità di vedere oltre, di vedere quella verità che faceva tanto male. Sin da bambina mi sono confrontata con il vuoto interiore, un vuoto inizialmente molto doloroso, in cui avevo imparato a stare. Poi avevo affrontato la solitudine, che vivevo anche in mezzo alla piazza più affollata ed anche con essa avevo fatto amicizia. In seguito mi ero confrontata con la sensazione di essere diversa e anche questa aveva un'apparente spiegazione, seppur facesse molto male. Crescendo, ancora, avevo affrontato la sensazione di essere incompresa e di fronte ad essa mi ero arresa. E la ricerca di quella persona speciale, con cui avrei avuto una sintonia inspiegabile a parole, una sintonia totale, con la stessa visione tu tutto e con la quale essere in completa fusione. Una ricerca infruttuosa, per la quale vivevo un dolore immenso ad ogni fallimento. La verità è che cercavo lui, cercavo tutto ciò che solo un gemello può dare. Era come un richiamo lontano, nostalgico, a quell'amore profondo e così totale, che nel mondo non avevo mai sperimentato. Eppure da bambina ne avevo consapevolezza, per questo chiedevo a mia madre di farmi quel "fratello più grande, che era rimasto dentro". Era presente dei disegni dell'asilo, in cui lo presentavo come il mio fratello Daniele, fino a quando "i grandi" non mi misero a confronto con la loro verità, ossia che Daniele non esisteva. Medito e torno lì, torno nell'utero di mamma, senza voler vedere niente di particolare. Torno semplicemente lì e guardo cosa accade. Si, lo sento, non sono sola. Sono in questo luogo che avverto di colore rosso scuro, sono piccolissima - appena pochi millimetri - e avverto la sua presenza, come rassicurante. Lui è più grande di me, lo sento grande e bellissimo. Sento un amore così immenso, così profondo, una fusione totale. Sento che lui mi sente, siamo in profonda connessione. Ci muoviamo in sincronia: stiamo giocando insieme. In quei movimenti avviene una vera e propria comunicazione, in cui mi sento compresa completamente. Esiste solo lui per me e lo amo incredibilmente. Poi inizia a muoversi di meno e sento che avviene qualcosa, mi sembra che stia soffrendo. In totale empatia sento il suo dolore e mi sembra di affogare. Non si muove più ed inizio ad essere scossa da brividi. Tremo. Tremo così forte che ogni fibra del mio essere sembra soggetta ad un potente terremoto. Brividi di freddo, fortissimi, sento la sua morte, ma non la capisco. "Portami con te! Ti prego portami con te! Perché mi lasci qui? Cosa ho fatto di male? Perché mi abbandoni? Perché mi lasci qui da sola? Voglio venire con te! Voglio venire anche io! Ti prego, sarò buona!" Niente. Nessuna risposta. Un dolore immenso mi pervade, mi sembra di morire dal dolore. E rabbia, tanta rabbia. Volevo seguirlo e invece non ci sono riuscita, sentendomi in colpa e inadeguata. Sento qualcosa che avviene nell'utero, come se qualcosa facesse in modo che l'utero mi trattenesse a forza. Con la consapevolezza di adesso penso siano i farmaci prescritti a mia mamma, poiché dopo delle perdite di sangue gli dissero che era in minaccia d'aborto. Ad un certo punto mi sembra di addormentarmi, ma ero io che osservavo la me nell'utero che dormiva. Dormivo per sopportare quel tremendo dolore, quella tremenda solitudine. Poi nasco. E conosco la mamma, non più solo come un ambiente, ma come una persona. E da quel momento mi sono aspettata che lei riempisse quel vuoto, ma non poteva farlo: nessuno era come lui. Una specie di patto inconscio mi legava al gemello: "non ti lascerò mai! Non ti tradirò mai". E come un ombra me lo portavo dietro. Crescendo ho dimenticato tutto questo e catalogato come fantasia l'ombra del suo ricordo, arrivando a lottare contro la memoria di lui che mi portavo dietro. A questo punto è giunto il momento di incontrarlo e di lasciarlo andare. Dopo aver rivissuto il tutto e tutto quel dolore è come se avessi lasciato andare un grande peso. Gli ho semplicemente detto, con tutto il cuore, che nessuno può sostituirlo, ma che accolgo il mio destino, come lui ha accolto il suo. Accolgo la vita, come lui ha accolto la morte, perché solo così il suo farmi spazio avrà un senso. E gli chiedo di benedirmi, affinché io possa amare, seppur in modo diverso da come ho amato lui. Mi benedice e lo lascio andare, per poi voltarmi verso la mia vita, che accolgo adesso completamente. Mentre scrivo queste pagine, appena uscita dall'esperienza, osservo tutto in modo nuovo. Per la prima volta non ho paura. Per la prima volta mi sento completa ed è tutto diverso rispetto a quando c'era quel vuoto, malgrado avessi imparato a conviverci. Sono lucida, presente, sola, ma senza sentire la solitudine. Mi sento completa da sola, come mai prima. E tutti i vecchi meccanismi mi fanno adesso un po ridere, così come mi fa ridere il fatto che non volevo ascoltare i mille segnali e tutte le parole degli altri, che inconsapevolmente, filtrando la cosa a modo loro, mi stavano indicando questo. Sono in ascolto. Non mi so più, perché tutti i meccanismi della mia personalità erano basati su questo. E finalmente sento gli altri come altro da me, sento un confine sottile e che rispetto. Un confine che esiste solo nella materia, ma che qui semplicemente è e adesso lo riconosco. E non soffro più al pensiero che qualcuno veda le cose in modo diverso da me, che possa percepire le cose in modo diverso, cosa che invece prima mi riportava in quel vuoto, in un dolore "cellulare", che mi scuoteva dall'interno. E nell'essere completa da sola posso finalmente incontrare gli altri per come sono, senza aspettarmi che siano diversi, senza volerli cambiare, ma occupandomi solo di vederli. Mi ascolto e sento che, rispetto a prima, non ho più la sensazione di voler il contatto fisico. Ho incontrato X (un amico) proprio ieri e non ho sentito l'esigenza di stare a contatto, ho sentito il confine e stavo benissimo così."

Così termina questo estratto del diario, mentre nelle pagine successive ho analizzato tutti i meccanismi, come quello di fuga e di ritirarmi in me stessa, per sfuggire al dolore. Come nell'utero sono fuggita dormendo, quando le cose andavano male in coppia sentivo l'esigenza di dormire molto, oppure di troncare la relazione, così come avevo imparato a fare nell'utero. In effetti non era sbagliato pensare che fosse la mente collettiva a governare la dinamica, ma essa è fatta di memorie e come dice Jung fino a quando avremo inconscio sarà esso a creare il nostro destino. Questa esperienza mi ha profondamente cambiata ed ha fatto crollare tutti i meccanismi connessi, per questo mi auguro che sia utile ad altre persone. Trattandosi di una tematica così delicata sento solo adesso l'esigenza di parlarne, in quanto non è semplice mettere nero su bianco la portata di tutto ciò. Da quel momento in poi ho iniziato a sperimentare la coppia in modo diverso e certo, le strade possono incontrarsi, poi separarsi, ma senza quel dolore. Da quel momento ho iniziato a permettermi l'Amore, quello alla pari, che fluisce di continuo e senza ostacoli. Se prima mi sarebbe bastata la tranquillità, adesso ho la felicità e sono grata a tutte le esperienze per avermi portato lì, perché grazie a quel passaggio ora sono qui.